Quando pensiamo al colesterolo LDL, quel “colesterolo cattivo” che tutti cerchiamo di tenere basso, spesso il messaggio è: “più basso è, meglio è”.
Perché?
Perché le malattie cardiache, di cui la malattia cardiovascolare aterosclerotica è la componente principale, rappresentano la prevalente causa di morte nei Paesi industrializzati ed è convinzione comune che proprio il colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (LDL), ne sia il principale responsabile.
Ecco allora che le raccomandazioni sono, più o meno, sempre le stesse: tenerlo basso sia con un’alimentazione povera, per non dire poverissima di grassi, sia con l’uso di farmaci ipolipemizzanti, come le statine, ritenute una prevenzione primaria efficace addirittura per pazienti che hanno un rischio anche minimo (del 27,5%) di contrarre malattie cardiovascolari.
Ma è davvero così?
La storia del colesterolo così come ce l’hanno raccontata è cambiata tanto negli ultimi cinquanta anni.
Cinquanta anni fa eravamo terrorizzati dai grassi e dal livello di colesterolo.
Oggi le ricerche dicono che un colesterolo alto, anche LDL, predice una vita lunga e giovanile, per corpo e cervello.
In particolare ciò che è emerso da uno studio recente pubblicato sulla rivista BMJ Open nel numero di marzo 2024, è sorprendente e ci invita a guardare al temuto colesterolo alto con occhi nuovi.
I ricercatori hanno usato i dati clinici di quasi 180.000 persone (precisamente 177.860) di età compresa tra 50 e 89 anni, senza diabete e non in terapia con statine (cioè quei farmaci che abbassano il colesterolo LDL) ed escludendo chi era già molto malato/disabile al momento del primo rilevamento.
Hanno seguito queste persone per una media di 6,1 anni, osservando quante, fra loro, morivano (per qualsiasi causa) nel tempo.
Hanno poi diviso i valori del LDL in 6 fasce e 6 range :
Ogni volta che avveniva un decesso, il valore del colesterolo LDL del deceduto veniva registrato all’interno di una delle sei fasce corrispondenti.
Nell’osservare le curve di mortalità, i ricercatori hanno avuto una sorpresa: non è la fascia più bassa ad avere il rischio minore, né quella più alta (anche se queste ultime hanno un rischio crescente).
Andiamo ad analizzare i dati più nello specifico.
Prendendo in considerazione l’incidenza di morti entro 10 anni, si sono accorti che, paradossalmente, muoiono più persone nel range 30-79 mg/dL di LDL (19,8%) cioè con un quantitativo di LDL nel sangue molto basso, rispetto al range 80-99, 100-129, 130-159, 160-189 che rientrano tutti tra il 10 e il 14%.
Quando passano ad osservare la mortalità nel gruppo di soggetti che superano i 190 mg/dL di LDL la percentuale sale al 14%, ma non raggiunge comunque il 19,8% dei morti che rientrano nel range 30-79 mg/dL.
Da ciò si evince che c’è una “zona d’oro intermedia” che in questo studio sembrerebbe la migliore in termini di mortalità totale.
La fascia che registrava un minore rischio di mortalità è quella che non ci saremmo aspettati: tra 100 e 189 mg/dL.

Se lo studio mette in luce una novità e cioè il fatto che un colesterolo LDL alto non dovrebbe più spaventarci, l’importanza di un elevato HDL da solo o in combinazione con altri lipidi è stata invece ampiamente riconosciuta.
Ormai è noto che il colesterolo HDL esercita diversi ruoli fisiologici, previene l’ossidazione delle LDL e inibisce l’espressione di citochine pro infiammatorie da parte dei macrofagi, ed è inversamente associato sia al rischio di mortalità per tutte le cause che a quello per malattie cardiovascolari.
Se vuoi avere un quadro chiaro del tuo profili lipidico, il solo valore del colesterolo non basta.
Il rapporto trigliceridi/HDL sembra essere più predittivo della mortalità rispetto al colesterolo LDL, e un rapporto trigliceridi/HDL pari o inferiore a circa 1 sembra essere ottimale.
Il colesterolo diventa “cattivo, cioè ossidato e responsabile delle placche aterosclerotiche, quando vi è continuamente insulina in circolo nel sangue a seguito di una routine alimentare ricca di zuccheri e carboidrati (pane, pasta, pizza, cereali, dolci, prodotti da forno).
Zuccheri che quando non vengono utilizzati nell’immediato come energia da spendere e sono in surplus, sono trasformati dal fegato in acidi grassi e vanno a finire nel sangue, portando ad un aumento spropositato di trigliceridi e LDL ossidato.
Un alto tasso di insulina è all’origine di molteplici e seri problemi di salute ed alimenta il processo infiammatorio dell’organismo, endotelio compreso, aumentando la probabilità di un coagulo di sangue nelle arterie causato dall’infiammazione elevata.
Lo stress ossidativo e l’infiammazione sono parte integrante della fisiopatologia dell’aterosclerosi e delle malattie cardiovascolari.

Probabilmente il più grande errore nella medicina moderna è quello concentrarsi troppo sui livelli di colesterolo totale e di LDL e giudicarli indicatori dei rischi di malattie cardiache.
Un punto di vista che nel tempo ha mostrato i suoi punti deboli perché non predice un preciso fattore di rischio.
Le conclusioni a cui è giunto lo studio presentato in questo articolo, è che hanno un rischio minore di mortalità coloro i cui valori di colesterolo LDL rientrano nell’intervallo 100-189 mg/dL .
Noi aggiungiamo che il colesterolo alto diventa un rischio quando è legato ad un abuso di zuccheri.
Come insegniamo nel SAUTÓN Approach, adottare un’alimentazione che preveda una riduzione temporanea ma drastica di carboidrati raffinati e zuccheri e un aumento dell’apporto quotidiano di grassi sani, permette al fegato di rilasciare i grassi tossici accumulati nei propri tessuti, recuperare gradualmente salute e funzionalità e produrre maggiori quantità di HDL e minori quantità di LDL.
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Fonti:
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